Metagenealogia e Psicomagia un’arte che cura
Ogni volta che ho analizzato i problemi di una persona, per quanto fossero attuali, ho sempre finito per scoprire che le radici del malessere si trovano nel terreno familiare. L’infanzia influisce sulla vita intera: la triade madre-padre-figlio/a, se non è equilibrata, crea nell’individuo un destino disseminato di molteplici fallimenti, depressioni e malattie.
I bambini, nel loro affanno di essere amati dai genitori, hanno paura di essere giudicati colpevoli di qualche mancanza. Per un bambino, che dipende anche sul piano vitale dai suoi genitori, è terrificante risvegliare la propria collera ed essere punito. Apprende quindi a negare quello che Freud ha chiamato “perversione polimorfa”: voglie sessuali infantili rivolte verso qualsiasi oggetto di desiderio, liberamente, prima che intervenga la repressione. Questa amoralità primaria, innata, deve essere accettata quando si lavora per eliminare gli effetti di un trauma. Lo sperimentatore deve accettare i suoi desideri, siano essi incestuosi, narcisisti, bisessuali, sadomasochisti, coprofagi o cannibali. Poi, deve realizzarli in forma metaforica.
Dietro ogni malattia c’è il divieto di fare qualcosa che desideriamo oppure l’ordine di fare qualcosa che non desideriamo. Ogni cura esige la disobbedienza a questo divieto o a quest’ordine. E per disobbedire è necessario abbandonare la paura infantile di non essere amati; vale a dire di essere abbandonati. Questa paura provoca una mancanza di coscienza: non ci si rende conto di quello che si è davvero, cercando di essere quello che gli altri si aspettano che noi siamo. Se si persiste in questa attitudine, si trasforma la propria bellezza interiore in malattia. La salute si trova solo nell’autentico, non c’è bellezza senza autenticità, ma per arrivare a quello che siamo davvero dobbiamo eliminare quello che non siamo. Essere quello che si è: questa è la felicità più grande.
Insieme ai propri ordini o divieti, i genitori imprimono delle parole nella memoria dei loro figli che più tardi agiscono come predizioni; il cervello ha la tendenza a realizzarle. Per esempio: “Se ti accarezzi il sesso, quando sarai grande diventerai una prostituta”, “Se non fai lo stesso lavoro di tuo padre e di tuo nonno morirai di fame”, “Se non sei obbediente, quando sarai grande ti metteranno in prigione”… Queste predizioni, arrivando all’età adulta, si convertono in una minaccia angosciante. Il miglior modo di liberarsene è quello di realizzarle in forma metaforica: invece di ridurre la minaccia, bisogna abbandonarsi ad essa.
La famiglia, in complicità con la società e la cultura, ci crea innumerevoli abitudini: mangiamo un certo tipo di cibi, abbiamo un numero limitato di precetti, idee, sentimenti, gesti ed azioni. Ci circondano le stesse cose. Per guarire bisogna cambiare punto di vista riguardo a se stessi. L’Io che patisce la malattia è più piccolo d’età rispetto a noi: è una costruzione mentale preda del passato. Quando ci liberiamo dal circolo vizioso delle nostre abitudini, scopriamo una personalità più autentica e, per ciò stesso, sana. Carlos Castañeda fece in modo che un grande direttore d’azienda, suo discepolo, si vestisse miseramente e vendesse giornali per le strade della sua città. L’occultista G.I.Gurdjieff esigette da un suo allievo, fumatore incallito, che smettesse col tabacco. Finché non ci fosse riuscito, gli proibì di tornare a trovarlo. L’allievo lottò per quattro anni contro la sua abitudine e quando arrivò a vincerla, molto orgoglioso della sua impresa, si presentò di fronte al Maestro: “Ho smesso di fumare!”. Gurdjieff gli rispose: “Adesso fuma!”.
La psicoanalisi è una tecnica che cura attraverso la parola. Il consultante, che viene chiamato “paziente”, sta seduto su una sedia o su una poltrona senza che mai lo psicanalista si permetta di toccarlo. Per liberare il paziente dai suoi dolorosi sintomi si richiede solo che ricordi i propri sogni, che prenda nota dei suoi lapsus e dei suoi incidenti, che separi la propria lingua dalla volontà e dica senza freni tutto quello che gli viene in mente. Dopo un lungo periodo di confusi monologhi, a volte egli giunge a rivivere un ricordo che era sepolto nelle profondità della sua memoria. “Mi hanno cambiato la balia”, “Il mio fratellino distrusse tutte le mie bambole”, “Mi hanno costretto a vivere con i miei nonni puzzolenti”, “Ho sorpreso mio padre mentre faceva l’amore con un uomo”, eccetera.
Lo psicanalista – che procede convertendo i messaggi che l’inconscio invia in un discorso razionale – crede che, una volta che il paziente abbia scoperto la causa dei suoi sintomi, questi spariscano… Ma non succede così! Quando emerge un impulso dall’inconscio, possiamo liberarci di esso solo realizzandolo. Per questo la psicomagia propone di agire, non di parlare soltanto. Il consultante, seguendo un cammino inverso rispetto a quello della psicanalisi, invece di insegnare all’inconscio a parlare il linguaggio razionale insegna alla ragione a praticare il linguaggio dell’inconscio, composto non solo da parole ma anche da atti, immagini, suoni, odori, sapori o sensazioni tattili.
L’inconscio accetta la realizzazione simbolica, metaforica. Per esso una fotografia non rappresenta altro che la persona ritratta, considera una parte come il tutto (i brujos realizzano i propri incantesimi su dei capelli, delle unghie o dei frammenti di vestito delle loro possibili vittime); proietta le persone che popolano la sua memoria su degli esseri reali o delle cose. I creatori dello psicodramma si resero conto che una persona che accetta di interpretare il ruolo di un famigliare provoca nel paziente delle reazioni profonde, come se fosse di fronte al personaggio reale. Colpire con un cuscino produce sollievo dalla rabbia contro un abusatore…
Per raggiungere un buon risultato, la persona che realizza l’atto deve liberarsi, in un certo senso, dalla morale imposta dalla sua famiglia, dalla società e dalla cultura. Se fa questo potrà, senza paura di una punizione, accettare i propri impulsi interiori, sempre amorali. Per esempio, se qualcuno che vuole eliminare la sua sorella minore (perché gli ruba l’attenzione della madre) attacca la fotografia della piccola su un melone e fa scoppiare il frutto a martellate, il suo inconscio dà per realizzato il crimine e il consultante si sente così liberato.
In psicomagia si dà per assodato che le persone che popolano il mondo interiore – la memoria – non sono le stesse che popolano il mondo esterno. La magia tradizionale e la brujeria lavorano col mondo esteriore credendo di poter acquisire dei poteri soprannaturali tramite dei rituali superstiziosi, per influire sulle cose, sugli avvenimenti e sugli esseri. La psicomagia lavora con la memoria: nel caso citato precedentemente non si tratta di eliminare la sorella in carne ed ossa, già diventata adulta, ma piuttosto di provocare un cambiamento nella memoria, tanto dell’immagine dell’essere odiato, quando era bambina, quanto della sensazione di impotenza e di rabbia accumulate dal bambino che la odia.
Per cambiare il mondo è necessario cominciare a cambiare se stessi. Le immagini che conserviamo nella memoria si accompagnano alla percezione di noi per come eravamo nel momento in cui abbiamo vissuto quelle esperienze. Quando ricordiamo i genitori tali e quali erano nella nostra infanzia, lo facciamo da un punto di vista infantile. Viviamo accompagnati o dominati da un gruppo di “ego” di diverse età. Tutti manifestazioni del passato. La finalità della psicomagia, mutando il consultante nel suo proprio guaritore, è arrivare al punto in cui egli si situi nel suo ego adulto, un ego che non può occupare altro luogo che il presente.
Qualche volta consiglio al consultante di cambiarsi di nome. Questo primo “regalo” concesso al nuovo nato lo individualizza in seno alla famiglia. La psiche infantile, proprio come farebbe un animale domestico, si identifica con questo suono col quale costantemente si attrae la sua attenzione. Finisce per incorporarlo alla propria esistenza come se fosse un organo o una viscera in più. Nella maggior parte dei casi, nei nomi scivola il desiderio famigliare che gli antenati rinascano: l’inconscio può mascherare questa presenza dei morti non solo ripetendo il nome per intero (in molte famiglie il primogenito riceve lo stesso nome del padre, del nonno, del bisnonno; se è una femmina può ricevere un nome mascolinizzato che passa per esempio da Francesco a Francesca, da Marcello a Marcella, da Bernardo a Bernarda, ecc.). Questo nome, se viene caricato di una storia, a volte segreta (suicidio, malattia venerea, carcere, prostituzione, incesto o vizio, forse di un nonno, una zia, un cugino), si fa veicolo di sofferenza o di condotte che poco a poco invadono la vita di colui che l’ha ricevuto.
Ci sono nomi che alleggeriscono e nomi che appesantiscono. I primi agiscono come talismani benefici. I secondi sono detestati. Se una figlia riceve dal padre il nome della sua vecchia amante, resta la sua fidanzata per tutta la vita. Se una madre che non ha risolto il nodo incestuoso con suo padre dà al bambino il nome di quel nonno, il figlio, imprigionato nella trappola edipica, si vedrà costretto ad imitare il nonno ammirandolo e al tempo stesso detestandolo, in quanto rivale invincibile. Le persone che ricevono dei nomi che sono dei concetti sacri (Santa, Bianca, Pura, Incarnazione, ecc.) possono sentirli come ordini, patendo dei conflitti sessuali. Quelli chiamati come angeli (Angelica, Raffaele, Gabriele, Celeste, ecc.) possono sentirsi non incarnati. I Pasquale, Cristiano, Nazareno, Emanuele, ecc., è molto possibile che patiscano deliri di perfezionismo e che a 33 anni vivano un’angoscia di morte, la paura di incidenti, di rovinarsi economicamente o di una grave malattia.
A volte i nomi sono il prodotto di desideri inconsci di risolvere delle situazioni dolorose. Per esempio, se un uomo quando era bambino è stato separato dalla madre, chiama suo figlio Giovanni Maria e realizza in questo doppio nome il suo desiderio di riunirsi alla madre. Se muore un piccolo, quello che viene dopo può essere chiamato Renato (dal latino renatus, che significa “rinato”). Se un antenato è stato messo in prigione, nella vergogna della famiglia, per una truffa o per un furto, un discendente diretto può essere chiamato Innocente. Se una donna con delle fissazioni incestuose si sposa con un uomo che ha lo stesso nome di suo padre, può generare dei figli che patiscono una confusione generazionale: inconsciamente, nel viversi come figli del nonno materno, considereranno la madre come una sorella, il che provoca in loro immaturità. Se dopo una bambina nasce un maschio che si battezza col nome di lei mascolinizzato (Antonia seguita da Antonio, Francesca seguita da Francesco, ecc.), può significare che la nascita della bambina è stata una delusione e quindi la giovane, considerandosi lo schema di un futuro maschio, può vivere immersa in un doloroso disprezzo per se stessa, sentendosi incompleta. Un nome preso dalle stelle del cinema o della televisione, o da scrittori famosi, impone una meta che esige la celebrità, il che può essere angosciante se non si possiede talento artistico. Se i genitori trasformano il nome dei propri figli in diminutivi (Gigi, Toni, Pino, Rosi, Giuseppina, ecc.), possono mantenerli per sempre nell’infanzia.
I nomi, nell’inconscio, funzionano come dei mantra (versi presi dalle opere vediche e usate come incantesimi). Queste parole, tramite la loro costante ripetizione, originano delle vibrazioni che producono determinati effetti occulti. I bramini credono che ogni suono nel mondo fisico risvegli un suono corrispondente nei regni invisibili e solleciti l’azione di una forza oppure di un’altra. Secondo loro, il suono di una parola è un efficace agente magico e costituisce la principale chiave per stabilire la comunicazione con le entità immortali. Per una persona che da quando nasce e fino a che muore ripete ed ascolta ripetere il suo nome, questo funziona come un mantra. Un suono ripetuto può però essere benefico oppure dannoso. Nella maggior parte dei casi il nome consolida un’individualità limitata. L’ego afferma “Sono così e in nessun altro modo”, perdendo fluidità, anchilosandosi. I grandi adepti della Magia come Éliphas Lévi, Aleister Crowley o Henry Corneille-Agrippa, affermarono che l’essere umano ha due corpi, uno fisico e l’altro di luce (chiamato anche corpo energetico o anima) il quale, essendo sacro, non può avere un nome personale. Il nome che si pronuncia, unito come una sanguisuga al corpo fisico, manifesta solo l’individualità illusoria della persona. Il corpo di luce forma parte dell’impronunciabile nome di Dio. Il proposito di questi maghi era quello di sviluppare o di ricordare il corpo di luce, integrandolo nella coscienza quotidiana. Se si raggiunge un equilibrio funzionale del corpo di luce col corpo fisico, l’ego egoista resta eliminato. La presa di coscienza dell’essere essenziale apre la porta della libertà nel momento in cui cessa di essere incatenato al suo nome comune, se questo si vive in modo doloroso.
dall’Introduzione al libro Manuale di psicomagia (consigli per guarirsi la vita) di Alejandro Jodorowsky
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